giovedì 4 settembre 2014

Nuove scarpe, vecchie canzoni



Dovrei guardare dove metto i piedi, lo so. Anche se il sentiero è facile, farsi male in discesa è un attimo. Una buca, una pietra, del fango e ti ritrovi gambe all’aria.
Ma le scarpe nuove mi danno una sicurezza del tutto diversa. Quelle vecchie mi hanno definitivamente abbandonata ieri, lungo il sentiero che sale in vetta al Mont Chetif, un itinerario poco impegnativo per me, evidentemente non per un paio di scarpe con alle spalle sei anni di onorato servizio.
Quanta tenerezza mi hanno fatto, così rotte, vecchie e sporche, con il goretex strappato in più punti e la suola così consumata da non aderire neppure al più semplice dei terreni.
Mi sono sembrate così tristi, con il loro colore grigio topo e le stringhe ormai sfilacciate, attempate compagne di mille passi su e giù per pietre e sentieri, alla scoperta della montagna nei suoi mille aspetti, tristi quasi fossero consapevoli di essere giunte al capolinea, quasi capissero che stavano per essere sostituite da un paio di scarpe nuove di zecca, leggere, colorate, allegre, che ho dovuto acquistare perché non potevo proseguire la vacanza senza scarpe!
Ho salutato le scarpe rotte col doveroso rispetto che meritano delle vecchie amiche e, indossate le nuove e sgargianti compagne di cammino, mi trovo ora a percorrere un tratto dell’alta via n°2 della Valle d’Aosta, nel punto che dal rifugio Elisabetta scende a Courmayeur.
Il freddo pungente incontrato sul Col de la Seigne ha lasciato il posto ad un tiepido sole che non riesce a scaldare troppo l’aria frizzante di una stagione poco favorevole dal punto di vista meteorologico, ma che comunque mi permette di chiudere nello zaino la giacca da snowboard. Anche il vento è calato non appena abbiamo oltrepassato il rifugio Elisabetta.
Le Pyramides Calcaires, imponenti isole di puro calcare bianco in quel mare di granito che è il Massiccio del Monte Bianco, sono ormai alle nostre spalle, così come l’Aiguille des Glaciers, l’Aiguille de Trélatête e il loro ghiacciaio di Lex Blanche.
Ogni tanto mi volto ad osservare la distesa erbosa che racchiude tutte le tonalità del verde, punteggiata dai bianchi, viola e gialli dei fiori, dagli spinosi cardi e abitata prevalentemente da timide marmotte, che in questo luogo così timide non sono, ma sbucano curiose a gruppi di quattro o cinque per poi scomparire veloci quando i nostri piedi umani sono a pochi metri da loro.
La parte più difficile del tracciato è superata. Davanti a me la valle comincia a declinare più dolcemente, solcata da un reticolo di rigagnoli azzurri, più o meno ampi, che interrompono il verde intenso dei prati. Vedo la strada, una serpeggiante striscia marrone, che diventa grigia in prossimità delle prime conifere.
Dovrei guardare bene dove metto i piedi, ma non riesco a staccare gli occhi dal paesaggio che ho davanti: le imponenti vette del gruppo del Monte Bianco si stagliano nitide contro un cielo di un azzurro tanto intenso da far quasi male allo sguardo. Davanti a me l’Aiguille Noire, scura, aguzza, imponente e severa, dietro la quale, più rotonde e massicce, ma altrettanto maestose compaiono le Aiguilles Blanches, scintillanti di neve e ghiaccio; alle loro spalle si intravvedono le cime più alte delle Grandes Jorasses, e poi ancora il Monte Bianco, parzialmente coperto dalle vette più vicine, il Grand Combin, il più modesto Mont Chetif … una vista tanto spettacolare da togliere il fiato.
Io e le mie socie di trekking camminiamo ormai da cinque ore. Non ho idea se anche loro provano lo stesso attonito stupore, la stessa meraviglia che mi azzera le parole, ma da un paio d’ore a questa parte tra noi è calato il silenzio. Io mi sto godendo la camminata, la fatica, il sole e il paesaggio, e credo che anche loro siano nel mio stesso stato d’animo.
Ad un tratto Miriam inizia a canticchiare una vecchia canzone italiana, forse per interrompere l’assenza di dialogo, forse per non pensare alla fame e alle gambe stanche, e alle due ore di cammino che ancora ci attendono; immediatamente la seguo e nel giro di pochi istanti cantiamo a squarciagola, più o meno a tempo, più o meno intonate, non badando agli altri escursionisti che ci guardano attoniti e un pochino divertiti. Clara, che non parla italiano e non conosce la canzone, ci ascolta ridendo.
Cantiamo e cantiamo, Vasco, Mina, Vecchioni e De Gregori; cantiamo e cantiamo, e intanto i piedi vanno, un passo dopo l’altro, un metro dopo l’altro.
La strada si fa più agevole e si immerge nel bosco di conifere via via che scendiamo verso Courmayeur. L’Aiguille Noire si avvicina, si fa più imponente e maestosa. Non posso fare a meno di pensare a quanto mi piacerebbe scalarla, a quanto mi piacerebbe posare mani e scarpette su quella guglia di granito nero che non sarò mai in grado di salire. E mentre i miei occhi la frugano, ricercando le linee logiche di salita, raggiungiamo l’albergo, la nostra destinazione, posto proprio sotto il ghiacciaio della Brenva.
Un saluto a Clara, compagna improvvisata, poi io e Miriam saliamo in stanza. Una doccia veloce, un riposino e poi … Pizza!!


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