Dovrei guardare dove
metto i piedi, lo so. Anche se il sentiero è facile, farsi male in discesa è un
attimo. Una buca, una pietra, del fango e ti ritrovi gambe all’aria.
Ma le scarpe nuove mi
danno una sicurezza del tutto diversa. Quelle vecchie mi hanno definitivamente
abbandonata ieri, lungo il sentiero che sale in vetta al Mont Chetif, un
itinerario poco impegnativo per me, evidentemente non per un paio di scarpe con
alle spalle sei anni di onorato servizio.
Quanta tenerezza mi
hanno fatto, così rotte, vecchie e sporche, con il goretex strappato in più
punti e la suola così consumata da non aderire neppure al più semplice dei
terreni.
Mi sono sembrate così
tristi, con il loro colore grigio topo e le stringhe ormai sfilacciate,
attempate compagne di mille passi su e giù per pietre e sentieri, alla scoperta
della montagna nei suoi mille aspetti, tristi quasi fossero consapevoli di
essere giunte al capolinea, quasi capissero che stavano per essere sostituite
da un paio di scarpe nuove di zecca, leggere, colorate, allegre, che ho dovuto
acquistare perché non potevo proseguire la vacanza senza scarpe!
Ho salutato le scarpe
rotte col doveroso rispetto che meritano delle vecchie amiche e, indossate le
nuove e sgargianti compagne di cammino, mi trovo ora a percorrere un tratto
dell’alta via n°2 della Valle d’Aosta, nel punto che dal rifugio Elisabetta
scende a Courmayeur.
Il freddo pungente
incontrato sul Col de la Seigne ha lasciato il posto ad un tiepido sole che non
riesce a scaldare troppo l’aria frizzante di una stagione poco favorevole dal
punto di vista meteorologico, ma che comunque mi permette di chiudere nello
zaino la giacca da snowboard. Anche il vento è calato non appena abbiamo oltrepassato
il rifugio Elisabetta.
Le Pyramides Calcaires,
imponenti isole di puro calcare bianco in quel mare di granito che è il Massiccio
del Monte Bianco, sono ormai alle nostre spalle, così come l’Aiguille des
Glaciers, l’Aiguille de Trélatête e il loro ghiacciaio di Lex
Blanche.
Ogni tanto mi volto ad
osservare la distesa erbosa che racchiude tutte le tonalità del verde,
punteggiata dai bianchi, viola e gialli dei fiori, dagli spinosi cardi e
abitata prevalentemente da timide marmotte, che in questo luogo così timide non
sono, ma sbucano curiose a gruppi di quattro o cinque per poi scomparire veloci
quando i nostri piedi umani sono a pochi metri da loro.
La parte più difficile
del tracciato è superata. Davanti a me la valle comincia a declinare più
dolcemente, solcata da un reticolo di rigagnoli azzurri, più o meno ampi, che
interrompono il verde intenso dei prati. Vedo la strada, una serpeggiante
striscia marrone, che diventa grigia in prossimità delle prime conifere.
Dovrei guardare bene
dove metto i piedi, ma non riesco a staccare gli occhi dal paesaggio che ho
davanti: le imponenti vette del gruppo del Monte Bianco si stagliano nitide
contro un cielo di un azzurro tanto intenso da far quasi male allo sguardo.
Davanti a me l’Aiguille Noire, scura, aguzza, imponente e severa, dietro la
quale, più rotonde e massicce, ma altrettanto maestose compaiono le Aiguilles
Blanches, scintillanti di neve e ghiaccio; alle loro spalle si intravvedono le
cime più alte delle Grandes Jorasses, e poi ancora il Monte Bianco,
parzialmente coperto dalle vette più vicine, il Grand Combin, il più modesto
Mont Chetif … una vista tanto spettacolare da togliere il fiato.
Io e le mie socie di trekking
camminiamo ormai da cinque ore. Non ho idea se anche loro provano lo stesso
attonito stupore, la stessa meraviglia che mi azzera le parole, ma da un paio
d’ore a questa parte tra noi è calato il silenzio. Io mi sto godendo la
camminata, la fatica, il sole e il paesaggio, e credo che anche loro siano nel
mio stesso stato d’animo.
Ad un tratto Miriam
inizia a canticchiare una vecchia canzone italiana, forse per interrompere
l’assenza di dialogo, forse per non pensare alla fame e alle gambe stanche, e
alle due ore di cammino che ancora ci attendono; immediatamente la seguo e nel
giro di pochi istanti cantiamo a squarciagola, più o meno a tempo, più o meno
intonate, non badando agli altri escursionisti che ci guardano attoniti e un
pochino divertiti. Clara, che non parla italiano e non conosce la canzone, ci
ascolta ridendo.
Cantiamo e cantiamo,
Vasco, Mina, Vecchioni e De Gregori; cantiamo e cantiamo, e intanto i piedi
vanno, un passo dopo l’altro, un metro dopo l’altro.
La strada si fa più
agevole e si immerge nel bosco di conifere via via che scendiamo verso
Courmayeur. L’Aiguille Noire si avvicina, si fa più imponente e maestosa. Non
posso fare a meno di pensare a quanto mi piacerebbe scalarla, a quanto mi
piacerebbe posare mani e scarpette su quella guglia di granito nero che non
sarò mai in grado di salire. E mentre i miei occhi la frugano, ricercando le
linee logiche di salita, raggiungiamo l’albergo, la nostra destinazione, posto
proprio sotto il ghiacciaio della Brenva.
Un saluto a Clara,
compagna improvvisata, poi io e Miriam saliamo in stanza. Una doccia veloce, un
riposino e poi … Pizza!!
Nessun commento:
Posta un commento