lunedì 7 luglio 2014

La Nord dell'Eiger

Il sole iniziava a scendere dietro le montagne e l’ombra delle imponenti cime del gruppo del Bianco si allungava sulla valle. La Doire de Ferret non scintillava più, anche se ancora si sentivano le sue acque scrosciare.
Si stava facendo tardi, a questo pensava mentre assicurava il socio. Si stava facendo inesorabilmente tardi. L’aveva perso di vista dietro quello sperone, dove il tiro aggirava una pancia con un passaggio, a detta del socio, illogico.
Le corde scorrevano nel secchiello, per una volta non attorcigliate, lentamente ma con continuità. Lui stava ancora salendo. Si sarebbe accorta quando fosse arrivato in sosta, perché avrebbe tirato solo la corda blu per legarsi con il barcaiolo, in una piccola abitudine che avevano preso, quella di assicurarsi lui sempre con la blu, lei sempre con la gialla. A quel punto lui l’avrebbe assicurata alla piastrina e lei sarebbe potuta partire. Sperava che lui salisse in fretta, voleva che lui salisse in fretta, che poi avrebbe cercato di uscirne velocemente anche lei, in un modo o in un altro. Non le importava come, ma voleva arrivare in cima, voleva finire quella via e scendere, prima possibile. Era stanca, le scarpette le facevano male, ma soprattutto era preoccupata per le doppie e per l’ora tarda: sapeva già che non avrebbero potuto seguire la via appena scalata, perché questa piegava tutta verso sinistra, con due tiri del tutto in traverso; sapeva che dovevano calarsi nel canalone che si apriva a destra, ma senza sapere dove fosse la sosta. Le scarne indicazioni trovate su internet dicevano “sosta da cercare” e loro non erano esperti nel cercare soste, tanto meno ad approntare soste di fortuna.
Improvvisamente vide scorrere solo la corda blu. Evidentemente lui aveva raggiunto la sosta e infatti, poco dopo, dalla radiolina arrivò la voce gracchiante: “Molla tutto”. Liberò le corde dal secchiello e comunicò un semplice “Libero!”. La semplicità nelle comunicazioni è essenziale quando non ci si può vedere.
Il socio recuperò le corde e gracchiò dalla radio: “Sei assicurata in sosta”. Infilò le scarpette, recuperò tutto il materiale e annunciò “Parto”.
Salì più rapida che poté, seguendo la fila di rinvii. Sapeva che la testa l’aveva abbandonata da un pezzo, da quel traverso al quinto tiro che l’aveva messa mentalmente KO, così doveva andare, non pensare, un appiglio dopo l’altro, un appoggio dopo l’altro e anche quell’ultimo tiro sarebbe terminato. Aggirò la pancia con decisione e salì, salì ancora per una placca ben appigliata, fino ad una cengia erbosa, piena di quell’erba lunga che pungeva le mani e le gambe e che non sapeva mai bene come gestire, perché aveva paura che una zolla le rimanesse in mano, o che all’improvviso franasse tutto da sotto i piedi. Cercò un appiglio un po’ più buono in mezzo a tutta quell’erba fastidiosa e si issò sulla cengia.
Trovò il socio che la aspettava e ancora un po’ di sole, non ancora scomparso del tutto dietro le guglie delle Grandes Jorasses, quel sole che dietro di lei illuminava le placche di Pre de Bar e il rifugio Elena.
Avevano finito; erano in cima. Tirò un sospiro di sollievo. Quell’ultima metà del tiro non avrebbe voluto salirla: arrivati alla sosta sotto avevano pensato che la via fosse finita lì, ma poi, alzando lo sguardo, avevano visto di nuovo una serie di spit e avevano capito che quella era la sosta intermedia, quella indicata come “sosta su un prato”, necessaria per le doppie, ma che la fine della via era più in alto. Avrebbe voluto dirgli “Lasciamo perdere la cima, fermiamoci qui!”, e sapeva anche che se glielo avesse chiesto, lui avrebbe rinunciato all’ultima metà del tiro, ma sarebbe poi stato profondamente insoddisfatto e si sarebbe adombrato. E comunque anche lei, sotto sotto, ci teneva a finire la via, a non lasciare le cose a metà.
Ed ora erano in cima, e non c’era nemmeno il libro di vetta da firmare; peccato, ci teneva a quel piccolo segno, a quel ricordo lasciato ai successivi ripetitori, un gesto che diceva “Io sono stata qui”. Ma il libro non c’era e bisognava iniziare con le doppie, che la discesa era lunga, così come le ombre della sera.
Si voltò a osservare il panorama, maestoso da mozzare il fiato. Scattò un paio di foto, che sapeva non avrebbero reso l’idea di quello che stava osservando. Vide in lontananza un puntino luminoso e riconobbe le ultime macchine parcheggiate appena prima della deviazione sul sentiero. La loro auto era parecchio più in basso, da lì non si vedeva.
“È tardi, scendiamo?”.

La Nord dell'Eiger, da cui il titolo del post, è una via sportiva che si trova nella Conca del Triolet, in Val Ferret. Il nome deriva dal quinto tiro, un traverso, che vuole ricordare, in modo un pò pretenzioso, il temibile traverso della vera Nord dell'Eiger. 


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